L'innocenza di Giulio: presentazione del libro

Prima di passare dalla Feltrinelli, Giulio Cavalli ha parlato del suo libro e di Giulio Andreotti a Radio Popolare. Questa è la chiacchierata fatta:
E passiamo all'incontro alla libreria Feltrinelli, a Milano, in Piazza Piemonte. Sul palchetto in fondo alla sala, al tavolino con l'acqua e un pacchetto di libri, stanno seduti Giulio e Nando Dalla Chiesa, non solo una persona impegnata nella lotta alla mafia, ma qualcuno che il periodo Andreotti, quello che è stato chiamato andreottismo, lo ha vissuto, lo ha in un certo senso anche pagato, se Andreotti si è permesso di scrivere
Spero che si penta di averlo scritto
riferendosi al suo libro sul divo Giulio.
E Dalla Chiesa, forse, emoziona più dello stesso Cavalli, per passione e intensità degli interventi, in alcuni momenti, tanto che all'improvviso sembra che l'intera libreria cada in un silenzio assoluto, totale, proprio mentre racconta delle inopportune amicizie di un presidente del consiglio che decenni dopo sarebbe stato cervelloticamente dichiarato innocente per ciò che non era caduto in prescrizione e mafioso per ciò che era finito in prescrizione!
E a tal proposito è bellissima la frase di Giulio, una sorta di spot del suo libro, ma soprattutto uno spot per tutti quelli che vogliono informarsi e informare:
Non possiamo mandare in prescrizione la memoria di ciò che è stato Gilio Andreotti
Non possiamo proprio.
Soprattutto perché sulla apparente innocenza di Andreotti l'Italia ha costruito la sua, di innocenza, come ha più volte sottolineato Dalla Chiesa ieri. L'Italia, infatti, aveva bisogno che Andreotti non risultasse mafioso, perché, almeno l'Italia che lo sosteneva, non poteva concepire di essersi affidata a un politico colluso con la mafia, non poteva accettare di vivere in uno stato mafioso. E tutto questo era necessario a maggior ragione per il fatto che Giulio Andreotti, questa repubblica, l'ha anche creata, quindi la stortura, per certi versi, sta addirittura all'origine, in una sorta di prosecuzione con i tempi precedenti, con la stessa unità d'Italia, quando la politica, agli albori della nazione, ha alimentato la corruzione per controllare meglio il sud d'Italia (leggetevi Il Gattopardo, se non vi fidate).
Ma il dramma di quest'Italia non si chiude qui, anzi prosegue, con una classe politica post-andreottiana cresciuta con il complesso di inferiorità nei confronti di Andreotti, perché diciamolo chiaramente: i suoi eredi sono anche peggio, perché non solo sono corrotti, ma non sono nemmeno intelligenti ed educati quanto il loro distorto punto di riferimento.
E poi c'è una questione, affrontata anche da una domanda del pubblico, quella della verità giudiziaria, qualcosa da utilizzare a piacere, per certi versi, un modo per dimostrare le proprie posizioni al di là dei fatti. Come ricorda Dalla Chiesa, in effetti, la verità giudiziaria semplicemente ratifica il rispetto o meno delle leggi, proposte dai politici e approvate dalla loro assemblea, il parlamento. I fatti reali, invece, che vengono anche raccontati nel processo, possono avere una rilevanza, sulla persona e il ruolo che essa ricopre, ben maggiore di quello che stabilisce la legge, come l'essersi intrattenuto con un latitante o l'aver taciuto una verità anche giudiziaria. Questi fatti, noti, possono avere una importanza giudiziaria relativa alle leggi in vigore, ma hanno una importanza sulla persona che è indipendente dal loro valore penale: suggeriscono l'esistenza di rapporti stretti, di una connivenza creata per vantaggio personale, nascondendola dietro quei quattro bocconi che ora lo stato ora la mafia elargivano ed elargiscono alla gente.
Io non so se si sono incontrati, ma se si sono incontrati si sono baciati
E' questo l'emblema del rapporto tra una generazione di politici e di italiani e il loro capo, Andreotti, e la criminalità organizzata, una raccolta di non so, di non è certo, e di consuetudini che si vogliono provare al di là dei fatti, quelli sì provati.

Forse il fondo del barile lo abbiamo toccato. Forse è il caso di risalire di nuovo. Certo un po' di speranza ancora c'è se Giulio Cavalli è in grado di scrivere:
Spero di essere all'altezza dei miei lettori.