Il villaggio tessile di San Leucio

Si legge sul sito dell'Unesco:
The industrial complex of the Belvedere, designed to produce silk, is also of outstanding interest because of the idealistic principles that underlay its original conception and management.
Ieri, su DropSea, scrivevo un paio di cose su Crespi d'Adda, villaggio industriale di tipo tessile. Però grazie a Egida Bruno (che in collaborazione con Marie Belotti ha scritto lo spettacolo Noi non sapevamo, andato in scena al Teatro della Cooperativa e diventato anche un libricino edito dalla Rubbettino) ho scoperto che...
A San Leucio, pensate, c'erano 200 telai per la tessitura della seta e più di 80 per il cotone ritorto, noto per la sua resistenza. E' incredibile ma nella comunità di San Leucio arrivavano emigranti dal Piemonte, dalla Liguria, dalla Toscana! E c'era tutto un regolamento per l'integrazione di questi "extra-comunitari"! Potevano stare lì un anno e se non producevano, ma soprattutto non rispettavano le regole, niente cittadinanza e foglio di via! Ma l'industria della seta mica era solo a San Leucio! Le filande c'erano anche a Napoli, in Abruzzo, a Catanzaro, a Reggio Calabria... Nel 1861, a Reggio Calabria, si contavano circa 3000 operai nella lavorazione della seta e la maggior parte di questi erano donne.
E a proposito di attività industriali, sempre grazie a Egida Bruno, viene ricordato un concetto che troppo spesso si dimentica, quando si pensa che il sud non era fatto per l'industria:
nel Sud, prima dell'Unità, 50 anni prima della Fiat e 40 prima della Breda, sorgeva il più grande complesso metalmeccanico d'Italia, a Pietrarsa, vicino San Giorgio a Cremano, dove è nato Troisi. A Pietrarsa si producevano macchine utensili, caldaie, rotaie, cannoni, locomotive e materiali per navi. A Pietrarsa arrivò in visita addirittura lo zar di Russia, Nicola I, che poi la prese a modello per il complesso ferroviario di Kronstadt.
E in Calabria
esisteva un complesso siderurgico importantissimo, che dava lavoro a circa 2000 operai, il complesso di Mongiana, vicino Vibo Valentia. A Mongiana si fabbricavano armi, si fabbricava lo "schioppo di Mongiana", in dotazione all'esercito borbonico, si produceva ghisa, si lavoravano il ferro e la grafite, la limonite dei giacimenti calabresi, c'erano circa trenta miniere lì intorno. All'interno degli impianti c'era addirittura l'asilo per i bambini delle mamme lavoratrici e c'erano le scuole di formazione per i ragazzi più promettenti.
Gli stabilimenti di Mongiana furono chiusi poco dopo l'Unità, messi all'asta e venduti, per pochi spiccioli, a un ex garibaldino.
Il governo aveva deciso che questo tipo di impianti doveva sorgere vicino alle coste, vicino al mare. In effetti il complesso di Mongiana era all'interno, sulle montagne, vicino ai giacimenti... quindi si pensò bene di fondare una nuova acciaieria, la più grande d'Italia, a Terni, in Umbria, regione "notoriamente" circondata dal mare.
E questa è solo una piccola parte di quello che aveva il Sud d'Italia, e di quello che ha perso dopo l'Unità: per molti motivi, non solo per l'idea di avvantaggiare le infrastrutture del Nord (vedi la costruzione dell'impianto siderurgico a Terni dopo la dismissione di quello di Mongiana), ma anche per una sorta di dimenticanza o di sottovalutazione dell'eredità culturale borbonica. Molti dei progetti di bonifica, per esempio, non vennero portati avanti, perché non ritenuti validi, solo che non si propose nulla di alternativo, e così le zone che potevano avvantaggiarsi di quei progetti dal punto di vista agricolo, vennero di fatto dimenticate. A questo, poi, c'è da aggiungersi la nuova classe politica meridionale, quella che si insediò dopo l'Unità e che agì in modo tale, per dirla alla Gattopardo, che tutto cambi per non cambiare nulla: ovvero che a guadagnarci fossero sempre le stesse tasche.
Nell'immagine di apertura, la piantina di Ferdinandopoli, una città che Ferdinando IV avrebbe voluto costruire sulla falsa riga di San Leucio. A far abortire il progetto fu l'arrivo di Napoleone Bonaparte, che ovviamente esportò il modello elettivo francese a scapito di quello calabrese